Omelia del Vescovo Corrado Sanguinetti per il X anniversario della morte del Vescovo Giovanni Volta

Duomo Pavia

                   

Santa Messa per il X anniversario della morte del vescovo mons. Giovanni Volta

Duomo di Pavia – venerdì 4 febbraio 2022

                    

Omelia del Vescovo mons. Corrado Sanguineti  

                 

Carissimi confratelli nel sacerdozio, cari fratelli e sorelle nel Signore,

Ci raccoglie questa sera la memoria grata del vescovo Giovanni Volta, nel decimo anniversario del suo passaggio alla casa del Padre, avvenuto il 4 febbraio 2012.

Io non ho avuto il dono di conoscerlo, ma so che ha lasciato un ricordo vivo nella diocesi, in molti fedeli e sacerdoti, in tante persone che l’hanno avvicinato nel suo lungo ministero episcopale, iniziato a Pavia il 7 giugno 1986 e terminato con le sue dimissioni, accolte da San Giovanni Paolo II il 1° dicembre 2003.

Diciassette anni spesi con passione, a contatto con la gente e le comunità, e in relazione costante con i vari ambienti della città e del territorio, dando la priorità al rapporto con i suoi preti, con i giovani – le sue lectio in cattedrale, le settimane teologiche estive per gli universitari, la fondazione del “Centro giovanile” nei locali dell’ex-oratorio cittadino San Luigi – e con le famiglie.

Voi che l’avete conosciuto da vicino, in modo particolare voi cari sacerdoti, e che ne avete potuto apprezzare l’umanità calda e immediata, eredità della sua famiglia contadina, ricca di fede, esprimete ora la viva gratitudine per tutto ciò che avete ricevuto da lui e dal suo ministero.

Da parte mia, a nome dell’intera chiesa pavese, sento il bisogno di elevare una preghiera di ringraziamento al Padre per il fecondo episcopato di Mons. Giovanni Volta e mentre siamo fiduciosi che il Signore l’abbia accolto nella gioia dei santi, chiediamo che egli dal cielo continui ad accompagnare con la sua intercessione e la sua benedizione il cammino della nostra diocesi.

Le letture proclamate sono quelle che ci propone la liturgia odierna e, a prima vista, potrebbero sembrare poco intonate con la figura del vescovo Giovanni.

Tuttavia, senza voler forzare i testi biblici, mi sembra di poter cogliere tre aspetti racchiusi nella Parola di Dio di questa sera, che prendono luce, guardando alla testimonianza di questo nostro padre e fratello nella fede.

Il libro del Siràcide offre un elogio del re Davide, e tra i tratti della sua azione, oltre al richiamo delle sue imprese di guerra e di vittoria, accenna alla sua figura di orante, compositore d’inni e salmi: «In ogni sua opera celebrò il Santo, l’Altissimo, con parole di lode; cantò inni a lui con tutto il suo cuore e amò colui che lo aveva creato» (Sir 47,8).

Se questo è vero per Davide, vale ancora di più per il vescovo Giovanni, che è stato un credente, un uomo di fede e di preghiera, e ha sempre avvertito, come suo primo compito, la preghiera, alla quale dava tempo e spazio, come nutrimento e anima della sua vita e del suo ministero. E come pastore del suo popolo, ha celebrato in ogni luogo l’Eucaristia e ha composto tante preghiere, per le famiglie, per i fedeli, in onore dei santi della nostra terra.

Qui abbiamo un insegnamento sempre valido per ogni battezzato che ha ricevuto il dono dello Spirito, respiro e soffio della sua preghiera, e in modo particolare per noi, vescovi, sacerdoti e diaconi, per le persone consacrate nella vita religiosa.

Permettete che riprenda qualche passaggio dell’intensa omelia, pronunciata dal vescovo Giovanni, il 18 giugno 2011, nella veglia di Pentecoste, in occasione del suo 25° di episcopato. In quel testo dove si sente vibrare il cuore e il cammino di una vita, egli ritornava sulla preghiera come primo servizio e fondamento dell’esistenza di un vescovo.

Rievocando la figura di Mosè, esprimeva la vita del pastore come posta tra l’ascolto di Dio e l’ascolto degli uomini: «Mosè non è stato chiamato solamente a guidare e ad annunciare, ma prima di tutto a stare con Dio, ad ascoltarlo e a parlargli. Un incontro che lo segnerà perfino sul volto, il quale brillerà di una luce misteriosa quando Mosè tornerà tra la sua gente. Un incontro che deve alimentare costantemente la vita di un Vescovo, chiamato ad ascoltare Dio e ad annunciarlo; a parlare a Lui e ad ascoltare gli uomini». E aggiungeva: «Mosè era salito sul Sinai anzitutto per pregare Dio, e il Vescovo è nella comunità cristiana non solo l’annunciatore della Parola di Dio, ma anche l’orante per eccellenza».

Nel vangelo, abbiamo il racconto drammatico del martirio di Giovanni il battista, che come profeta è eco e portavoce della di Dio a Israele: un profeta coraggioso, disposto a soffrire per la verità, un uomo libero di fronte al potere, tanto che sembra molto più libero, interiormente, Giovanni in catene, rispetto al re Erode Antipa.

Il caro vescovo Giovanni – che portava il nome del precursore di Cristo – è stato un uomo innamorato della Parola di Dio e che ha messo al centro del suo ministero non solo l’annuncio, ma anche la proposta a ogni cristiano di diventare assiduo lettore e uditore della Scrittura. Nella stessa omelia, già citata, egli ricordava come avesse imparato ad amare la Bibbia dal papà che, quando era bambino, gli narrava “la storia sacra”, soprattutto dell’Antico Testamento, mentre zappavano il frumento o nelle sere d’inverno; da qui nacque in lui la convinzione della centralità della Parola nella vita del credente, convinzione che sempre lo accompagnò nel suo ministero sacerdotale ed episcopale: «Per questo con insistenza ho raccomandato la lettura e la meditazione della Sacra Scrittura quale libro di istruzione e di preghiera e quale strumento di educazione cristiana. Ecco perché ho voluto mettere in evidenza anche nel mio stemma il primato della Parola di Dio, “In Verbo tuo”. Come può un figlio scordare suo padre e sua madre, la loro voce? Come può un credente mettere in secondo piano la voce della parola di Dio?».

Un’altra lezione da raccogliere e da non disperdere per noi e per la nostra Chiesa!

Sempre nel testo evangelico, il battista è in carcere perché non ha avuto paura di richiamare Erode alla verità, denunciando l’immoralità della sua scelta di sposare la moglie di suo fratello: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello» (Mc 6,18). In senso più ampio, anche la parola del vescovo Giovanni è stata spesso rivolta a mettere in luce la verità e la bellezza della vocazione matrimoniale, ed egli ha dedicato un’attenzione particolare alle famiglie, con gli incontri, la pubblicazione delle sue lettere alle famiglie, sostenendo iniziative a servizio della vita e della famiglia. Nonostante le difficoltà e le crisi che segnano la vita di non poche famiglie, il vescovo Giovanni non si è mai rassegnato, certo di seguire il suo progetto originario di Dio: «Questa non è una via da scegliere, perché l’ha già scelta Dio, chiamandola con un sacramento ad essere segno concreto del suo amore che ci fa crescere già nei nostri primi passi … la famiglia non solo è la prima scuola dell’uomo, ma anche la prima università dove si insegnano tutte le materie: come mangiare, come camminare, come parlare, come rapportarsi agli altri, che cosa è bene e che cosa è male, come pregare».

Mettere al centro le nostre famiglie, sostenerle e aiutarle a vivere la loro missione essenziale e insostituibile per l’educazione e la trasmissione della fede alle nuove generazioni: resta un compito più che mai attuale, che vogliamo onorare e per il quale vale la pena impegnarsi con speranza!

Vorrei concludere riascoltando con voi il passaggio finale di quell’omelia che ho trovato così limpida nel restituirci il volto e il cuore del mio predecessore. È un’immagine bellissima di che cos’è la vita di un cristiano, divenuto pastore e servo del suo popolo.

«Era costume nel mio paese recitare il rosario dopo cena in chiesa nel mese di ottobre. Mio padre vi si recava tutte le sere e vi portava anche noi piccoli. Quando pioveva si metteva il mantello per non bagnarsi e per il freddo, e con esso copriva anche i due più piccoli della casa: Giuseppe ed io. Lungo il tragitto tra la casa e la chiesa l’orizzonte della nostra visuale era solo quello del mantello che ci avvolgeva. Con i piedi avvertivamo il terreno che stavamo percorrendo: ora la terra battuta, nel primo tratto, con qualche pozzanghera, poi il selciato sotto un portico e infine ancora un breve tratto di terra battuta. Con mio fratello dicevamo: ci siamo, non ci siamo, presto arriviamo, ci siamo ormai. Alla fine del tragitto mio padre apriva il mantello davanti alla porta della chiesa e noi vi correvamo dentro, come due uccelli che lasciano il nido.

Con il tempo, ricordando quel cammino sotto il mantello di mio padre mi è venuto di pensare al percorso della mia vita. Non sapevo dove Dio mi avrebbe condotto. Per la strada ho trovato ora terra battuta, ora pozzanghere e sassi, ora tratti selciati, lisci; sapevo però che Dio è padre e mi sono fidato. Spero che alla fine del mio cammino in terra anche Dio, come un giorno faceva mio padre, apra il suo mantello che oscura ora i miei occhi per farmi entrare nel suo Regno» Amen!