Mauro Danesino, dirigente del Gruppo Bancario Credito Valtellinese, “Lo sguardo dolce di un Vescovo” Il Ticino, febbraio 2012

Lo sguardo dolce di un Vescovo

Mauro Danesino

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Conobbi don Giovanni (e continuai nel privato a chiamarlo così fino alla fine) nel 1983 quando don Ernesto Maggi e l’allora Vescovo mons. Angioni mi diedero l’incarico di rifondare a Pavia la Federazione Universitaria Cattolica Italiana, la Fuci. Presi così contatti con alcuni studenti di Milano dell’Università Cattolica dove la Fuci era in salute e attiva. Lì incontrai mons. Giovanni Volta.

Mi colpì subito la profondità del suo sguardo e la disponibilità all’accoglienza. Nel suo ufficio - era allora assistente generale dell’Università Cattolica - iniziammo a conoscerci scoprendo peraltro amici in comune e sentendoci immediatamente in sintonia su alcune tematiche.

Non conosceva la città di Pavia ma ben sapeva come la Fuci in un ambiente massonico come quello universitario pavese avrebbe potuto dire molto e diventare punto di riferimento e crescita per molti studenti. La sua costante frequentazione in quegli anni fu per me, e per la struttura della Fuci della nostra città, ricchezza e crescita.

La conoscenza tra Pavia e don Giovanni divenne presto intensa. Ricordo infatti che un’estate il settore giovani dell’Azione Cattolica era in grande difficoltà nel trovare, all’ultimo momento, un relatore per il campo scuola del Tonale. Proposi di chiedere la disponibilità di don Giovanni, che accettò con entusiasmo; lo stare in mezzo ai giovani per ragionare e discernere i vari temi a loro cari lo riempiva sempre di gioia.

Intanto mons. Angioni aveva rassegnato al Santo Padre le proprie dimissioni per raggiunti limiti di età e iniziò, com’è umanamente comprensibile, il “toto- vescovo”.

Spuntò, tra i tanti, il nome di don Giovanni. Mi affrettai a chiedergli conferma di quelle “voci” e in tipico dialetto mantovano – mai perse l’attaccamento alle tradizioni della sua terra – mi disse che lui non sapeva niente e che eventualmente sarebbe stato l’ultimo a sapere.

Invitato dal Vescovo Angioni a tenere una relazione per il convegno diocesano, don Giovanni mi chiamò per chiedermi se potevo andarlo a prendere in stazione. Quando arrivò andammo a cena e poi, visto che mancava ancora qualche tempo all’inizio della sua relazione, andammo a fare un giro in centro; lo portai davanti al Duomo. Lo osservò poi si girò e disse in dialetto “e questo qui cosa l’è”. “L’episcopio” risposi. E lui “beh non c’è mica tanto da camminare”.

Quella frase mi rimarrà impressa tutta la vita: la interpretai come la risposta alla domanda che gli avevo fatto tempo prima sulle voci della sua candidatura a Vescovo di Pavia. “Allora è lei” gli disse e lui, senza rispondere, mi disse che dovevamo andare altrimenti saremmo arrivati tardi. Non andai oltre: sapevo quando si poteva andare in affondo e quando don Giovanni si ritraeva in difesa.

Qualche mese fa, riaccompagnando don Giovanni a Gazzoldo, dopo una Messa che aveva celebrato nella Cappella del Sacro Cuore, gli ricordai quel giorno e quella risposta chiedendogli se avevo ben interpretato il significato di quella sua frase. Sorrise affettuosamente e mi disse con tono scanzonato “non ricordo” con quei suoi occhi curiosi che parlavano da soli.

Quando lo salutai per tornare verso Pavia mi colse un profondo senso di tristezza nel vederlo e pensarlo ora solo, senza la sua affezionatissima sorella Emilia, in una casa dove aveva trascorso l’intera sua vita.

Gli dissi che avrebbe potuto tornare a Pavia, che avrebbe ritrovato molti amici. Sempre in dialetto mantovano mi disse di lasciar perdere, lì sarebbe rimasto, ora doveva fare il “parroco” e far crescere un gruppo di giovani della Fuci!

Molti sono i ricordi che in queste ore riaffiorano alla mia mente delle tante ore trascorse insieme. Uno simpatico, quando ad esempio visse nel terrore un intero pomeriggio. Lui che in macchina amava la prudenza, dovette accompagnare da Roma a Pavia il Cardinale Casaroli, allora segretario di Stato vaticano, che veniva a ritirare presso la nostra Università una laurea Honoris Causa. Il Cardinale era in ritardo e quindi le auto di scorta della Polizia di Stato diedero il meglio di sé nel tragitto Roma- aeroporto di Ciampino.

Ma il ritardo non si recuperò e quindi quando don Giovanni e il Cardinale atterrarono nell’area militare di Linate la scorta della Polizia ebbe l’ordine di accelerare ancor più i tempi. Ebbi l’onore di essere sulla macchina con don Giovanni, Cardinale e autista. Il Cardinale parlava amabilmente, abituato a tali “ritmi”, mentre don Giovanni e il sottoscritto passammo i venti minuti più paurosi della nostra vita: a oltre 200 all’ora zigzagando da Linate a Pavia, Piazza Duomo. Riuscimmo a seminare anche la pattuglia dei motociclisti della Polizia Municipale di Pavia che ci attendeva al casello di Bereguardo! Divenne uno dei racconti più divertenti della nostra amicizia.

Molte furono le sue frasi che mi hanno aiutato nella mia crescita di fede ed umana. La più ripetuta: “tu che sei banchiere (bontà sua) sta attento ai soldi che sono la rovina dell’uomo”. Qualche mese fa commentammo insieme quanto questo dire fosse attuale rapportato anche alle nuove generazioni.

E quanto ci fosse bisogno di rispolverare e diffondere nuovamente il documento che don Giovanni aveva curato per la CEI: “Educare alla Legalità”.

Gli avevo promesso che avrei organizzato a breve un incontro a Pavia su questo tema per risentire il suo punto di vista. Il Signore aveva altri disegni.

La testimonianza di don Giovanni di fedeltà alla Chiesa e di amore per chi ha incontrato lungo la sua vita rimarranno l’esempio e il sentiero più bello per tutti noi.

Il Ticino, 10 – 02 – 2012, pag. 10