1999 Pv. Sant'Agostino e l'Occidente. Convegno
- Dettagli
- Categoria: S.Agostino
- Pubblicato Giovedì, 02 Marzo 2023 19:21
- Visite: 142
SANT'AGOSTINO E L'OCCIDENTE:
IL MONDO, LA TECNICA E LO SPIRITO
CONVEGNO
Pavia, 24-X-1998, Sala dell'Annunciata
Relazione di
Giovanni Volta
Condizioni per la ricerca della verità nelle Confessioni di sant'Agostino
SOMMARIO
1. Presenza diffusa di un tema e tipicità delle Confessioni
La ricerca della verità e delle sue condizioni viene tematizzata in vari scritti di sant'Agostino, vedi per esempio la sua riflessione sulla possibilità di giungere alla verità nel "Contra Academicos", di cogliere la razionalità del mondo nel "De Ordine", di esplorare il senso della propria vita nei "Soliloquia", vedi la sua indagine sul valore dei segni e delle parole e quindi su le condizioni per la comunicazione della verità nel "De Magistro", sul rapporto tra la fede e la ragione nel "De vera religione", "De utilitate credendi", "De fide rerum quae non videntur", "De Trinitate", la "Lettera" 120 (1).
Tra i molti scritti di sant'Agostino che trattano il nostro tema, ho pensato di scegliere le Confessioni perchè in esse continuamente s'intreccia l'esperienza della vita con le riflessione su di essa, la domanda che nasce dagli avvenimenti con la ricerca di una risposta, e perciò questo scritto meglio di altri si presta ad un interesse più generalizzato e ad una comprensione più immediatamente accessibile alle condizioni del comprendere nella vita di ogni uomo, proprio perchè fa riferimento a ciò che Agostino stesso aveva sperimentato.
Come si sa, le "Confessioni" sono un lungo dialogo di Agostino con Dio, nel quale egli rende lode a Lui ("confessio") per tutto ciò che gli ha dato e soprattutto per la misericordia che gli ha usato nella sua vita. L'autore stesso dirà nelle sue "Retractationes" che "I tredici libri delle mie Confessioni lodano Dio giusto e buono per i miei mali e per i miei beni e verso di lui sollevano la mente e gli affetti degli uomini" ("Retractationes" 2,6,1). Esse perciò non vanno intese nel senso corrente di accusa dei peccati, ma nel significato più ricco del latino cristiano, secondo il quale due cose distinte significano, anche se tra loro connesse: "confessio laudis" e "confessio peccatorum", perchè, come
---------------
scrive Agostino, "Confessio aut laudantis est, aut paenitentis" (Serm.29,2).
Dentro questo dominante quadro generale il Vescovo d'Ippona richiama il discorso su le condizioni del comprendere il senso della vita, la verità della propria esistenza e del mondo, che nel testo figura come riconoscimento di Dio.
Lo scritto delle "Confessioni" non ha poi uno svolgimento omogeneo. Esse si compongono di tredici libri, dei quali i primi nove seguono le tappe temporali della vita di Agostino fino alla morte della madre ad Ostia; il decimo libro costituisce come una ripresa sintetica della sua ricerca di Dio e degli ostacoli incontrati; negli ultimi tre libri egli commenta l'inizio della Genesi, approfondendo il richiamo e la differenza tra il creato e il suo Creatore. Le annotazioni di Agostino sul nostro tema si svolgono perciò in schemi letterari diversi, pur sempre nel costante interesse del rapporto tra l'uomo e Dio, poichè la scoperta della "verità", per Agostino, coinvolge sempre questi due poli. Una nota dominante del suo pensiero che lo fa apparire vicino al pensiero contemporaneo e agganciato alla vita comune di ogni uomo.
Nel "De Ordine" egli già aveva scritto che due sono le questioni interessanti la filosofia: quella sull'anima e quella su Dio ("Cuius (Philosophiae) duplex quaestio est: una de anima, altera de Deo": "De Ordine" II,18,47). E nei "Soliloquia" aveva detto, parlando delle sue aspirazioni: "Deum et animam scire cupio. -Nihil ne plus?- Nihil omnino" ("Soliloquia I,2,7). E più avanti egli farà la sua celebre affermazione: "Che io conosca me, che io conosca te" ( "Noverim me, noverim te": "Soliloquia II,1.1).
Nelle "Confessioni" i due protagonisti: l'uomo e Dio, non sono visti come rapporto "degli altri", ma come "suo" rapporto, e le difficoltà che vengono via via enumerate non sono attinte semplicemente da letture fatte, ma dalla propria diretta esperienza. E' la stessa persona di Agostino che è in gioco, il suo travaglio, le sue scelte.
2. Il quadro globale entro il quale viene visto il processo conoscitivo
Queste osservazioni preliminari ci dispongono ad intendere come le condizioni del comprendere non vengono trattate nelle Confessioni come un tema a se stante, ma all'interno di un cammino più grande e comprensivo, che è la gravitazione fondamentale dell'uomo la quale precede le scelte libere della sua volontà così che troviamo già all'inizio delle Confessioni, quale nota illuminante tutta la riflessione che egli svolgerà sulla sua vita, la celebre affermazione: "Ci hai fatto (Signore) per te e il nostro cuore è inquieto finchè non riposa in te" ("fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te": "Confessiones" I,1.1.)
2.1. Il movente della filosofia
Ciò che muove l'uomo a filosofare, dirà Agostino nella "De Civitate Dei", è il poter essere felice ("nulla est homini causa Philosophandi, nisi ut beatus sit": "De Civ. Dei" XIX,1,3). E di conseguenza ciò che primariamente lo anima anche nella sua passione per il sapere è la ricerca del bene.
Vi è, secondo Agostino, uno stretto legame tra l'amore e il conoscere, tra la Verità e il Bene, tra il conoscere la Verità e la Beatitudine. Già ne aveva parlato nel suo libro "De beata vita" e nel "De libero arbitrio" dove scrive: "Ecco, ti viene donata la stessa verità: abbracciala se puoi, e godi di essa, e rallegrati nel Signore...e noi dubiteremo di essere beati nel suo abbraccio?...negheremo di essere beati se siamo da essa abbeverati e cibati?" ( "Ecce tibi est ipsa veritas: amplecte illam si potes, et fruere illa, et delectare in Domino...et nos in amplexu veritatis beatos esse dubitabimus?...et nos negabimus beatos esse, cum irrigamur pascimurque veritate?" ( "De libero arbitrio" II,13,35)
E' significativo al riguardo che nel libro decimo delle Confessioni l'imput alla ricerca di Dio che lo porterà ad interrogare le cose che lo circondano e lui stesso venga dalla constatazione fondamentale del suo amore: "Sono certo, non ho dubbi, io ti amo, Signore" ("Non dubia, sed certa conscientia, Domine, amo te": "Confessiones" X,6,8). Una constatazione certa e insieme oscura in ordine al proprio oggetto, tanto che subito dopo il discorso si apre alla domanda: "Ma che amo, quando amo te?" ("Quid autem amo, cum te amo?" ibid.). E insiste: "Quid ergo amo, cum Deum meum amo?" (X,7,11). L'amore dunque muove la ricerca, la conoscenza dell'uomo, tanto che dopo queste affermazioni la riflessione che segue nel libro decimo delle "Confessioni" è costituita da un incalzante interrogare le cose e se stesso su "chi sono" e "da chi sono", e perciò si colloca sulla strada della ricerca della verità. Una ricerca che coincide con quella del bene e della propria felicità. "Come ti cerco dunque, Signore? -egli scrive-. Cercando te, Dio mio, -egli continua- io cerco la felicità della mia vita" ("Quomodo ergo te quaero, Domine? Cum enim te, Deum meum quaero, vitam beatam quaero" : X,20,29). Vi è dunque come una profonda unità tra verità e bene, tra la conoscenza della verità e la gioia. Quando Agostino si trovava invischiato nelle dottrine dei Manichei, che tanto parlavano di verità, ma non l'avevano nel cuore: "Questi nomi erano sempre sulle mie labbra, ma soltanto come suoni strepito della lingua; per il resto il loro cuore era vuoto di verità" ("Haec nomina non recedebant de ore eorum, sed tenus sono et strepitu linguae; ceterum cor inane veri": III,6,10). Egli confessa che con tutto il cuore tendeva alla verità, che era anche bontà e bellezza: "Padre mio sommamente buono, belleza di ogni bellezza. O Verità, Verità, come già allora e dalle intime fibre del mio cuore sospiravo verso di te" ( "Mi pater summe bone, pulchritudo pulchrorum omnium. O veritas, veritas, quam intime etiam tum medullae animi mei suspirabant tibi": X, 6, 10).
2.2. Dall'interrogativo sull'uomo al suo trascendimento
E il soggetto di questo desiderio, di questa aspirazione, con una annotazione anticipatrice di istanze del pensiero moderno, è lo stesso che si presenta anche come interrogativo della sua ricerca: "Io, Signore, certamente mi arrovello su questo fatto, mi arrovello in me stesso. Io stesso sono diventato per me interrogativo, terra difficile che richiede tanto sudore" ("Ego certe, Domine, laboro hic et laboro in me ipso: factus sum mihi terra difficultatis et sudoris nimii": X,16,25). Nel cammino della sua interrogazione delle cose alla fine, nel libro decimo delle Confessioni, Agostino diventa interrogativo a se stesso. Da questo snodo risalirà alla verità prima. Cercherà Dio, la Verità che spiega l'origine e il senso di tutte le cose, esplorando la propria memoria con una prolungata analisi delle sue condizioni, del suo comportamento, nella sua "profunda et infinita multiplicitas" (X,17,26).
Si chiederà ulteriormente: ma come posso trovare Dio, se io non lo ricordo? (Quomodo iam inveniam te, si memor non sum tui?": X,17,26). D'altra parte cercare Dio fuori della memoria, sopra di sè, significa averlo scordato ( "Si praeter memoriam meam te invenio, immemor tui sum" : X,17,26). E spiega: "La donna che perse la dracma e la cercò con la lucerna non l'avrebbe trovata, se non ne avesse avuto il ricordo" ( X,18,27).
La terminologia di Agostino è di sapore platonico, non però il senso. Non si tratta di ricordare una realtà vista nell'iperuranio, per ritrovarla, ma piuttosto di scoprire una realtà della quale c'è in noi come l'impronta. Così l'uomo, prendendo coscienza di sè e trascendendo sè giunge alla verità prima. Di qui il significato del continuo rimando che le cose propongono ad Agostino e con esse anche la sua memoria, il suo stesso essere. Si chiede: "Ma dove dimori nella mia memoria, Signore, dove dimori?...Hai concesso alla mia memoria l'onore di dimorarvi, ma in quale parte vi dimori? A ciò sto pensando. Cercandoti col ricordo, ho superato le zone della mia memoria che possiedono anche le bestie, poichè non ti trovavo lì, fra immagini di cose corporee. Passai alle zone ove ho depositato i sentimenti del mio spirito, ma neppure lì ti trovai. Entrai nella sede che il mio spirito stesso possiede nella mia memoria, perchè lo spirito ricorda anche se stesso, ma neppure là tu eri, poichè come non sei immagine corporea nè sentimento di spirito vivo...così non sei neppure lo spirito stesso" ( X,25,36).
E ritorna ad interrogarsi: "Dove dunque ti trovai, per conoscerti? Certo non eri già nella mia memoria prima che ti conoscessi. Dove dunque ti trovai, per conoscerti, se non in te, sopra di me?" ( X,26,37).
L'uomo per conoscere la Verità, per conoscere Dio, deve dunque trascendere se stesso, perchè lui è stato creato ad immagine di Dio, ma non è Dio.
Una lunga riflessione che pone le basi delle condizioni per riconoscere la Verità, per incontrare Dio.
3. Creati per la verità, come mai la rifiutiamo?
Il discorso svolto finora dovrebbe spingere il nostro autore ad affermare che ogni uomo accoglie la verità. Nella realtà invece accade che l'uomo tante volte rifiuta la verità. Come si spiega questa contraddizione nella vita umana: il desiderio della verità e il suo rifiuto?
Scrive Agostino: "Chiedo a tutti: =Preferite godere della verità o della menzogna?=. Rispondono di preferire la verità, con la stessa risolutezza con cui affermano di voler essere felici. Già, la felicità della vita è il godimento della verità...Questa felicità della vita vogliono tutti, questa vita che è l'unica felicità vogliono tutti, il godimento della Verità vogliono tutti. Ho conosciuto molte persone desiderose di ingannare; nessuna di essere ingannata...Amano la verità, poichè non vogliono essere ingannate; amando la felicità, che non è se non il godimento della verità, amano certamente ancora la verità" ( X,23,33).
Nello stesso tempo il santo dottore si chiede: come mai allora l'uomo che cerca la verità non gode di essa, perchè tante volte egli non è felice d'incontrarla? O addirittura perchè giunge ad odiarla? E si risponde: "In realtà l'amore della verità è tale, che quanti amano un oggetto diverso pretendono che l'oggetto del loro amore sia la verità; e poichè detestano di essere ingannati, detestano di essere convinti che s'ingannano. Perciò odiano la verità: per amore di ciò che credono verità. L'amano quando splende, l'odiano quando riprende. Non vogliono essere ingannati e vogliono ingannare, quindi l'amano allorchè si rivela, e l'odiano allorchè li rivela" ( X,23,34).
L'intelligenza dell'uomo è dunque condizionata, anzi è guidata dall'interesse che l'anima. Se la verità accusa una persona o l'impegna per un cammino arduo, l'interessato tende a difendersi. Continua sant'Agostino: "Tu, la Verità, siedi alto sopra tutti coloro che ti consultano anche su cose diverse. Le tue risposte sono chiare, ma non tutti le odono chiaramente. Ognuno ti consulta su ciò che vuole, ma non sempre ode la risposta che vuole. Servo tuo più fedele è quello che non mira a udire da te ciò che vuole, ma a volere piuttosto ciò che da te ode" ( X,26,37).
In questo testo sant'Agostino si ispira ad un passo del Vangelo di san Giovanni (cf. Gv.3,19-21) nel quale Gesù Cristo indica le condizioni per venire alla luce della verità. Un Vangelo che il nostro autore commentò a lungo e per il quale ebbe una particolare consonanza.
Si nasconde quindi nell'uomo come una contraddizione interna che divide il suo cuore tra l'aspirazione alle gioie più immediate e quella alle gioie più profonde. "Perchè dunque - si chiede Agostino - (gli uomini) non se ne traggono godimento (dalla verità)? Perchè non sono felici?", e la risposta è: "Perchè sono più intensamente occupati in altre cose" ( X,23,33), che nella realtà però li rendono più infelici. Lui stesso, Agostino, confessa di aver smarrito Dio, la Verità, perchè s'era disperso in mille cose, nella loro vanità. A ciò fa riferimento il celebre passo: "Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato! Ecco, tu eri dentro di me mentre io ero fuori ed ivi ti cercavo e mi gettavo deforme su le formose creature che tu hai fatto. Tu eri con me, ma io non ero con te. Mi tenevano lontano da te le creature che non esisterebbero se non fossero in te" ("Sero te amavi, pulchritudo tam antiqua et tam nova, sero te amavi! Et ecce intus eras et ego foris et ibi te quaerebam et in ista formosa, quae fecisti, deformis inruebam. Mecum eras, et tecum non eram. Ea me tenebant longe a te, quae si in te non essent, non essent": X,27,38).
Già nel primo capitolo delle "Confessioni", guardando alla sua esperienza, Agostino aveva dichiarato: "Il mio peccato era di non cercare in lui, ma nelle sue creature, ossia in me stesso e negli altri, i diletti, i primati, le verità" ( I,20,31).
Il conoscere è dunque legato profondamente alla disponibilità di tutta la persona alla verità in quanto e nella misura in cui l'uomo vi è coinvolto.
4. La sanità e la libertà interiore sono condizione per conoscere
Questa disponibilità alla verità, condizione per accoglierla e riconoscerla, è soggetta, secondo Agostino, ad una progressiva educazione oppure ad un suo ottundimento.
4.1. La sanità del gusto conoscitivo
Come per il cibo è necessaria la sanità del gusto per saperlo valutare, come per la luce occorre avere gli occhi sani per vederla, così è necesaria la saità dello spirito per accogliere la verità, quella che coinvolge la nostra vita.
Scrive Agostino, riflettendo su la vicenda della sua vita, su le difficoltà incontrate nella sua ricerca della verità: "Capii per esperienza che non è cosa sorprendente se al palato malsano riesce una pena il pane, che al sano è soave; se agli occhi offesi è odiosa la luce, che ai vividi è amabile. La tua giustizia ( o Dio) è sgradita ai malvagi"( VII,16,22).
E in polemica con i Manichei ci dà un esempio di questa mancanza di "sanità" dell'atto valutativo nel fatto che essi rifiutano una parte del creato in forza del loro dualismo nel guardare il creato: "Non c'è sanità di giudizio in coloro che non gradiscono qualche cosa del tuo creato, come non ce n'era in me quando non gradivo molte delle cose da te create. E poichè la mia anima non osava non gradire il mio Dio, si rifiutava di riconoscere come opera tua tutto ciò che non gradiva" ( VII,14,20).
Il processo conoscitivo, secondo Agostino, si radica nel cuore. E il cuore dell'uomo, il centro gravitazionale della sua persona, alla luce dell'esperienza e della rivelazione, risulta ferito. Per questo la lettura che il Vescovo d'Ippona fa del processo conoscitivo dell'uomo tiene conto della sua storia e lo esamina all'interno della nostra ricerca del bene e della felicità.
"Dove si assapora - egli scrive - la verità? E' nell'intimo del cuore, ma il cuore errò lontano da lui. Rientrate nel vostro cuore, prevaricatori (citando Isaia 46,8), e unitevi a colui che vi ha creati. Restate con lui e resterete saldi; riposate in lui e avrete riposo. Dove andate, alle tribolazioni? Dove andate? Il bene che amate deriva da lui, ma solo in quanto tende a lui è buono e soave; sarà invece giustamente amaro, perchè ingiustamente si ama, lasciando lui, ciò che deriva da lui. Quale vantaggio ricavate dal vostro lungo e continuo camminare per vie aspre e penose? Non vi è quiete dove voi la cercate. Cercate ciò che cercate, ma non è lì, dove voi cercate. Voi cercate una vita felice in un paese di morte; non è lì. Come potrebbe essere una vita felice ove manca la vita?" ( IV,12,18).
Ma come Agostino fa rientrare questi problemi nel processo conoscitivo dell'uomo?
Ancora una volta il nostro autore si rifà ad una constatazione concreta: la visione delle cose. Esse appaiono mute, ma se uno le sa interrogare, rispondono. Scrive perciò: "Interrogai la terra, e mi rispose: -Non sono io-; la medesima confessione fecero tutte le cose che si trovano in essa. Interrogai il mare, i suoi abissi...e mi risposero: -Non siamo noi Dio- ...Allora mi rivolsi a me stesso. Mi chiesi: -Tu chi sei?-; e risposi: -Un uomo-. Dunque, eccomi fornito di un corpo e di un'anima, l'uno esteriore, l'altra interiore. A quali dei due chiedere del mio Dio, già cercato col corpo dalla terra fino al cielo, fino dove potei inviare messaggeri i raggi dei miei occhi? Più prezioso l'elemento interiore. A lui tutti i messaggeri del corpo riferivano, come a chi governi e giudichi, le risposte del cielo e della terra e di tutte le cose ivi esistenti, concordi nel dire: -Non siamo noi Dio-, e: -E' lui che ci fece-. L'uomo interiore apprese queste cose con l'ausilio dell'esteriore; io, l'interiore, le ho apprese, io, io, lo spirito, per mezzo dei sensi del mio corpo. Interrogai sul mio Dio la mole dell'universo, e mi rispose: -Non sono io, ma è lui che mi fece" ( X,6,9).
4.2. Intelligenza e libertà
Potrebbe sembrare ovvio il cammino conoscitivo prospettato, ma nella realtà non tutti lo percorrono. Torna quindi l'interrogativo che Agostino si fa più volte nelle "Confessioni" e che scaturisce dalla sua esperienza personale: "Non appare a chiunque è dotato compiutamente di sensi questa bellezza? Perchè dunque non parla a tutti nella stessa maniera?" ( X,6,10).
Questa domanda diventa occasione per sant'Agostino di analizzare i vari passaggi per giungere alla conoscenza. Occorre anzitutto, egli afferma, la percezione delle cose. Essa però non è sufficiente. Per comprendere, per cogliere attraverso le realtà visibili quelle invisibili è necessaria la ragione, che a differenza degli animali solo gli uomini possiedono. In forza di essa noi possiamo interrogare le cose che vediamo, le quali solo a chi le interroga rispondono. E qui il nostro autore esprime una istanza che è stata messa in risalto particolarmente nel pensiero contemporaneo: la domanda, la giusta domanda condiziona in maniera determinante la nostra conoscenza e la fa procedere.
Ma l'interrogare è legato al saper giudicare; e questo, a sua volta, per procedere dev'essere libero. Dunque solo l'intelligenza di una persona libera può interrogare e giudicare adeguatamente i mille messaggi che gli possono venire dai sensi. Abbiamo qui l'incontro dell'istanza di oggettività e di soggettività della conoscenza: non c'è conoscenza se non vi è accoglienza; non vi è conoscenza se l'intelletto non è libero e attivo, se non è indipendente, se non interroga.
Questo fatto spiega il rapporto che vi è tra "comportamento" e "conoscenza" nella vita dell'uomo, e che prende risalto più le verità cercate coinvolgono la persona umana. Un rapporto che fu decisivo nella vita del santo dottore, e che l'accompagnò nella sua riflessione sul rapporto intelletto e rivelazione, debolezza dell'uomo e soccorso della grazia.
Ecco le parole di Agostino su le condizioni per interpretare con verità i messaggi dei sensi: "Gli animali piccoli e grandi la vedono, ma sono incapaci di fare domande, poichè in essi non è preposta ai messaggi dei sensi una ragione giudicante. Gli uomini però sono capaci di fare domande, per scorgere quanto in Dio è invisibile comprendendolo attraverso il creato. Senonchè il loro amore li asservisce alle cose create, e i servi non possono giudicare. Ora, queste cose rispondono soltanto a chi le interroga sapendo giudicare; non mutano la loro voce, ossia la loro bellezza, se uno vede soltanto, mentre l'altro vede e interroga, così da presentarsi all'uno e all'altro sotto aspetti diversi; ma pur presentandosi a entrambi sotto il medesimo aspetto, essa per uno è muta, per l'altro parla; o meglio parla a tutti, ma solo coloro che confrontano questa voce ricevuta dall'esterno, con la verità nel loro interno, la capiscono" ( X,6,10).
5. Ruolo determinante della precomprensione
Sant'Agostino esamina il problema conoscitivo non solo nelle sue varie componenti, ma anche in un costante confronto con la propria esperienza che fu di adesione a successive diverse concezioni del mondo e della vita. Di conseguenza sperimentò i condizionamenti della storia personale che pesano su ciascuno di noi non solo a livello morale, ma pure a quello delle precomprensioni intellettuali. Ed anche in questo caso possiamo notare nel Vescovo di Ippona un significativo anticipo di problematiche sollevate dalla filosofia ontemporanea.
Già in uno dei suoi primi scritti, sempre guardando all'esperienza della sua vita, Agostino rileva che la lettura dell' "Ortensio" di Cicerone aveva acceso in lui una grande passione per la ricerca della verità, e tuttavia i suoi preconcetti e i falsi maestri incontrati l'avevano portato a vagare senza meta: "Fin dal diciannovesimo anno della mia vita, dopo aver letto, nella scuola del retore, il libro di Cicerone, denominato "Ortensio", fui preso da tanto amore per la filosofia che subito decisi di dedicarmi ad essa. Ma non mancarono nebbie, per cui il mio navigare fu senza mèta e a lungo, lo confesso, ebbi fisso lo sguardo su stelle che tramontavano nell'oceano e che m'inducevano nell'errore. Difatti una falsa e puerile interpretazione della religione mi distoglieva dall'indagine" ("De Beata Vita" 1,4).
Questo problema dei preconcetti che avevano impedito ad Agostino di raggiungere la verità ricorre spesso nelle "Confessioni" quale spiegazione delle sue difficoltà.
Ma qual'era questa "falsa e puerile interpretazione" ?
5.1. Il preconcetto materialista
Un primo preconcetto che aveva tenuto prigioniero Agostino, così da impedirgli di cogliere la verità, fu la sua difficoltà ad intendere lo spirito, frutto della sua concezione materialista di tutte le realtà. E accanto a questa visione materialista di tutto il reale, compreso Dio, un altro preconcetto, scrive il nostro autore, gli impediva di aprirsi alla verità intera: il concetto del male inteso come sostanza, come principio di vita contrapposto al bene. Si trattava della dottrina sostenuta dai manichei e al cui insegnamento il santo dottore aveva aderito negli anni della sua giovinezza.
Scrive nelle "Confessioni": "Ma l'idea falsa che avevo delle sostanze spirituali m'impediva di scorgere il vero. Per quanto la verità mi balzasse agli occhi con tutta la sua forza , io distoglievo la mente ansiosa dalla realtà incorporea verso le linee, i colori e le masse turgide; giacchè non potevo ritrovarne nell'anima, pensavo che non avrei potuto ritrovare l'anima stessa; e poichè nella virtù mi attraeva la pace, nel vizio mi ripugnava la discordia, scorgevo nella prima una specie di unità, nel secondo una specie di divisione. In quell'unità poi mi pareva risiedere l'anima razionale, l'essenza della verità e del bene supremo; nella divisione invece, misero, scorgevo una sostanza indefinibile di vita irrazionale e l'essenza del male supremo, che per me non era solo sostanza, ma vera vita...Infatti ignoravo e non avevo imparato che il male non è una sostanza, e neppure la nostra intelligenza è il bene supremo e immutabile" ( IV,15,25).
Non riusciva Agostino a pensare una realtà che non fosse dentro l'orizzonte delle cose visibili: "Non riuscivo a pensare una sostanza diversa da quella che si vede abitualmente con gli occhi" (VII,1.1.).
In forza di questa visione delle cose, Dio appariva come un corpo immenso del quale l'uomo costituiva semplicemente una parte: "A che giova ciò, se, Signore Dio e verità, pensavo che tu fossi un corpo luminoso e immenso, e io un frammento di quel corpo?"( IV,16,31).
La concezione materialista di tutta la realtà viene giudicata da Agostino motivo quasi unico della sua devianza dalla verità e alla base della sua visione del male come "sostanza".
Egli afferma: "L'incapacità di pensare, volendo pensare il mio Dio, a cosa diversa da una massa corporea, poichè mi pareva che nulla esistesse senza un corpo, era la suprema e quasi unica ragione del mio inevitabile errore." ( V,10,19).
E subito dopo aggiunge: "Di conseguenza credevo che anche il male fosse una qualche sostanza simile e fosse dotato di una massa oscura e informe, qui densa, ed è ciò che chiamavano terra, là tenue e sottile, secondo la natura dell'aria, che immaginano come uno spirito maligno, strisciante su quella terra. E poichè la mia religiosità, qualunque fosse, mi costringeva a riconoscere che un dio buono non poteva aver creato nessuna natura cattiva, stabilivo due masse opposte fra loro, entrambe infinite, ma in misura più limitata, la cattiva, più ampia, la buona. Da questo prinipio letale derivavano tutte le altre mie eresie" ( V,10,20).
Facendo l'autocritica del suo modo di pensare in quei giorni, il nostro autore rileva anzitutto il suo modo errato di procedere: "Cercavo l'origine del male cercando male e non vedendo il male nella mia stessa ricerca" (VII,5,7).
Le conoscenza e lo studio dei neoplatonici aiuterà Agostino a cogliere il concetto di spirito e quindi a superare la mentalità che lo portava a vedere e spiegare ogni fatto in chiave materialista (cf.VII,9,13). Nei libri dei Neoplatonici il santo dottore trovò scritto che il Verbo non viene dalla carne (di qui la scoperta dello spirito), non però che il Verbo si è fatto carne (di qui l'insufficienza del neoplatonismo a svelargli la verità intera). Egli ha scritto: "Così trovai in quei libri che il Verbo di Dio non da carne, non da sangue, non da volontà d'uomo né da volontà di carne, ma da Dio è nato; che però il Verbo di Dio si è fatto carne e abitò fera noi, non lo trovai scritto in quei libri" (VII,9,14).
5.2. L'unicità della via conoscitiva
Un secondo preconcetto gli poi fu d'impedimento a cogliere la verità: la pretesa che unica fosse la via con cui si rivela a noi e s'impone la verità della cose, quasi che non ci siano varie vie e metodologie del sapere in conformità alla varietà degli esseri e degli aspetti del reale che vengono esplorati.
"Che pretesa la mia - egli esclama - di raggiungere su cose che non vedevo la stessa certezza con cui ero certo che sette più tre fa dieci! Non così pazzo da ritenere che nemmeno quest'ultima verità si può comprendere, volevo però comprendere allo stesso modo anche le altre verità, sia le corporee non sottoposte ai miei sensi, sia le spirituali, per me pensabili esclusivamente sotto una forma corporea" ( VI,4,6). Questa pretesa aveva impedito ad Agostino di comprendere il valore della Bibbia, di scoprirne la verità profonda, finchè non incontrò Ambrogio, il vescovo di Milano, che insistentemente raccomandava alla sua gente la norma : "La lettera uccide, lo spirito invece vivifica" (cf. VI,4,6).
5.3. L'esclusione della fede nella vita
Un terzo preconcetto, inculcatogli dai Manichei, gli impediva di accedere alla verità tutta intera, l'unicità della scienza come via conoscitiva e perciò l'esclusione di ogni altra via conoscitiva, come la fede. "Il manicheismo - egli scrive - prometteva temerariamente una scienza, tanto da irridere la fede" ( VI,5,7). Subito dopo però, egli osserva, essi si contraddicevano, poichè proponevano tante cose da credere: "(Il manicheismo) poi imponeva di credere a un gran numero di fole del tutto assurde, dal momento che erano indimostrabili" ( VI,5,7).
Qui Agostino sfiora un tema che altrove aveva a lungo sviluppato (vedi per esempio "De vera religione", "De utilitate credendi", "De fide rerum quae non videntur", "De gratia et libero arbitrio", "De doctrina christiana"). Non solo la religione, egli ritiene, ma anche la vita quotidiana dell'uomo, non può sussistere senza fede, senza l'accettazione di conoscenze per via di testimonianza, di fiducia reciproca, di comunicazione del proprio sapere che viene accolto perchè si ha stima dell'altro. La fede però non è vista da Agostino in alternativa o in contrapposizione con la conoscenza, ma piuttosto come suo aiuto e in molti casi come sua condizione. Vedi la via più comune del nostra sapere. Pensando alla propria storia, egli annota nelle "Confessioni": "Essendo dunque gli uomini troppo deboli per trovare la verità con la sola ragione, e avendo perciò bisogno dell'autorità dei testi sacri, io avevo incominciato a credere ormai che non avresti attribuito un'autorità così eminente presso tutti i popoli della terra a quella Scrittura, se non avessi desiderato che l'uomo per suo mezzo credesse in te e per suo mezzo ti cercasse" (VI,5,8). Del resto la maggior parte delle volte l'approfondimento, la presa di coscienza delle ragioni, segue un insegnamento, una comunicazione per testimonianza. Le stesse grandi scoperte spesso partono da una intuizione, rispetto alla quale non precede, ma segue la dimostrazione delle ragioni.
5.4. L'incidenza determinante dell'interesse
Infine, una condizione determinante e previa al comprendere viene sottolineata da Agostino: l'interesse, l'amore a ciò che si vuole o si deve conoscere.
Ricordando i suoi primi anni di scolaro, più appassionato al gioco che allo studio, egli ricava questo insegnamento da quell'esperienza: "emergeva in modo abbastanza chiaro che per imparare queste nozioni vale più la libera curiosità che la pedante costrizione" ( I,14,23). E nelle "Confessioni", dopo aver parlato nel primo libro dell'inquietudine del cuore umano, nell'ultimo, nel tredicesimo libro, quasi a riassumere la sua storia Egli esclama: "Il mio peso è il mio amore; io vado dov'egli mi porta...Noi ardiamo e ci muoviamo" ("Pondus meum amor meus; eo feror, quocumque feror...inardescimus et imus"": XIII,9,10).
Torna una nota dominante nel pensiero di Agostino: l'interesse e l'amore dell'uomo guidano la sua vita e rendono vivida la sua intelligenza, mentre il disinteresse la spegne.
E' costante nella riflessione del santo dottore l'intrecciarsi dell'analisi e della sintesi; nel nostro caso l'indagine su i vari aspetti del processo conoscitivo e la sua unitaria visione dinamica che abbraccia la ragione, la volontà e la libertà, la luce dell'intelletto e quella della fede, il peso della propria storia e la propria apertura alla verità e al bene. La parola che esprime il riferimento unitario di questo complesso dinamismo dell'uomo anche per l'intelligenza è il cuore, secondo il suo ricco significato biblico. Un rilievo fondamentale anche per i suoi risvolti pedagogici.
6. Conclusione
Così Agostino, mentre percorre i diversi tempi della sua vita in dialogo con Dio, ricorda nelle "Confessioni" le tappe fondamentali della sua ricerca della verità, gli ostacoli incontrati e le vie scoperte, in un costante confronto con le dottrine che l'avevano affascinato lungo tutto il suo cammino, dalla dottrina dei manichei a quella dei neoplatonici, alla lettura dell' "Ortensio", agli scettici accademici, all'insegnamento chiarificatore di sant'Ambrogio. E proprio perchè non intende svolgere un trattato sul problema della conoscenza, come ha fatto altrove, ma narrare e interpretare la sua vita, per questo egli attiva nel suo scritto mille osservazioni diverse che vanno da quelle psicologiche a quelle di carattere metafisico.
La vita reale é sempre un evento sintetico e perciò anche l'analisi di essa, per essere sua autentica interpretazione, deve tener conto di tutte le sue componenti e del suo dinamismo. Al cuore della sua indagine, pur svolta in forma rapsodica in questa sua opera, Agostino pone il rapporto che lega l'amore e la conoscenza e i vari gradi del sapere. Rapporto e gradi che condizionano lo sviluppo e i risultati del nostro sapere, perchè l'interesse costituisce come il motore dell'intelligenza, mentre l'orizzonte delle possibilità della conoscenza, a sua volta, permette o impedisce in maniera previa di andare oltre l'immediatamente verificabile. Un discorso ancor oggi di estrema attualità sia per gli sviluppi della scienza, che può apparire per questo l'unica via del sapere, sia per quella tendenza al "prevaricare" delle singole forme del sapere per voler imporre alle altre le proprie metodologie e misure.
D'altra parte Agostino, se fu costantemente attento a distinguere, non lo fu meno però nell'unire, convinto com'era che solo nell'unità sta il cammino della comprensione. E proprio nelle "Confessioni" egli sottolinea che il sapere e il comprendere sono legati al "cogitare", vale a dire al "raccogliere", come dice la parola stessa, e non al separare, certo che i singoli frammenti di verità si potenziano reciprocamente se vengono rapportati tra di loro (cf. "Confessioni" X,11,18), mentre la dispersione e la separazione ne oscura l'intelligibilità.
Ma la manifestazione di questa unità completa sta solo aldilà delle cose, in Dio, dove appunto la Verità coincide con Lui.
Per questo al termine delle "Confessioni" Agostino, non per un atto di diserzione dal proprio cammino di ricerca, ma per dare compimento alla sua scoperta della verità, si fa questa domanda e si dà questa risposta:
"Il capire tutto questo (il nostro tempo e l'eternità di Dio, l'operare e il riposare di Dio, la bontà dell'uomo e quella di Dio, ricordati poco prima) quale uomo potrà dirlo all'uomo? Quale angelo a un angelo? Quale angelo ad un uomo? A te sia chiesto, in te sia cercato, presso di Te dobbiamo bussare: così, così otterremo, così troveremo, così ci sarà aperto" ( XIII,38,53).
Potrà meravigliare che una ricerca rigorosa termini con una invocazione. Essa era frutto della coscienza che ebbe Agostino del desiderio della verità e insieme della sproporzione che avvertiva tra sè e la vertiginosa altezza di quella. Anche questa coscienza fa parte della proposta agostiniana delle condizioni per la ricerca della verità.
Già nei "Soliloquia" così egli si era rivolto a Dio per invocarlo sorgente oggettiva della verità: "O Dio verità, fondamento, principio e ordinatore della verità di tutti gli esseri che sono veri", e per pregarlo come alimento soggettivo della sua ricerca: "O Dio sapienza, fondamento, principio e ordinatore della sapienza di tutti gli esseri che posseggono sapienza...viemmi incontro propizio" ("Soliloquia" I,1,3).
(1) Cf. E.Gilson "Introduction a l'étude de saint Augustin" Paris 1949, 3° ed., pp.31-147; G.Santi "Dio e l'uomo. Conoscenza, memoria, linguaggio, ermeneutica in Agostino" ed.Città Nuova, Roma 1989 (con abbondante bibliografia); "Sant'Agostino. Verso la verità" (a cura di Remo Piccolomini) ed.Città Nuova, Roma 1990; "Sant'Agostino. Conoscere e amare" (a cura di Remo Piccolomini) ed.Città Nuova, Roma 1991; Frederick J. Crosson "Mostrare e dire: il concetto dell'insegnamento nel "De Magistro" di S.Agostino" in "De Magistro" (Lectio Augustini, settimana agostiniana pavese) edizioni Augustinus, Città Nuova, Roma 1993, pp.13-65.
Pavia, 9 novembre 1998
Caro don Bruno,
avendo tenuto ad un nostro Convegno cittadino una relazione su le condizioni per la ricerca della verità nelle Confessioni di sant'Agostino nell'ottobre scorso, ho pensato di proportela per la "Rivista del Clero Italiano". Essa tocca indirettamente il tema dell'ultima enciclica del Papa e per questo potrebbe essere di un qualche interesse per i lettori della Rivista che dirigi.
Noi di Pavia, essendo custodi da secoli del corpo (ormai delle ossa) di sant'Agostino, siamo anche impegnati a farne conoscere lo spirito e il pensiero (anche se qui molta gente riconosce la Chiesa di san Pietro in Ciel d'Oro come luogo di culto di santa Rita e non di sant'Agostino).
Vedi tu se ritieni opportuno pubblicare questa mia relazione. Non voglio compensi anche perchè da anni ricevo gratis la Rivista che leggo con interesse.
Buon lavoro per il nuovo anno accademico.
-------------------
Al M.R.
Mons. Bruno Maggioni
Direttore "Rivista del Clero Italiano"
Largo Gemelli
Università del Sacro Cuore
20123 Milano