2008 S.Fidenzio (Vr). Il cammino verso la fede nelle Confessioni di S. Agostino. Ritiro Spirituale

 

Il cammino verso la fede

nelle Confessioni di sant’Agostino

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Ritiro con il gruppo di Suzzara

S. Fidenzio (VR) 26 settembre 2008

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Cercare Dio, parlare di Dio, parlare a Dio: un compito immane, e tuttavia sono tre momenti che stanno sulla soglia di ogni cuore.

Cercare Dio: ma non è Lui che ci cerca? Come si concilia cercarlo ed essere cercati? 

Parlare di Dio: ma come possiamo? Se Dio è Dio, ci supera in tutte le direzioni, mentre le nostre parole, e ancor prima i nostri concetti, sono tante volte inadeguati ad esprimere le cose che vediamo e i nostri stessi sentimenti. 

Parlare a Dio: facciamo fatica a rivolgere le nostre parole ad una persona più colta, più importante di noi, come possiamo parlare a Dio? Tra l’altro Egli già sa tutto di noi. 

Eppure abbiamo sentito domenica scorsa sulle labbra di Isaia: 

“Ricercate il Signore mentre si fa trovare, 

invocatelo mentre è vicino. 

Abbandoni l’empio la sua via e l’iniquo i suoi pensieri, 

ritorni al Signore, che avrà pietà di lui, 

e al Dio nostro, perché è largo nel perdonare. 

Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri 

E le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore: 

Quanto il cielo si eleva sopra la terra, 

così sono elevate le mie vie sopra le vostre vie 

e i miei pensieri sopra i vostri pensieri” (Isaia 55,6-9). 

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D’altra parte la stessa sacra Scrittura nelle sue prime pagine ci dice che Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza. Non sono dunque estranei l’uno all’altro. Come perciò s’incontrano, come si parlano? 

E, proprio per questa difficoltà intellettuale ed esperienziale, ho pensate di proporvi quella che è stata l’esperienza, la comprensione e l’atteggiamento di un grande credente e pensatore che ha attraversato nella sua vita tutti gli ostacoli sopra prospettati. 

Nel 1933 M. Heidegger per il compleanno di una persona amica le ha mandato in dono una copia delle Confessioni con questo commento: "Per il suo compleanno le invio gli auguri più cari. Penso che le Confessioni si addicano al meglio a questo giorno, e le auguro di ricevere da questo libro un effetto benefico inesauribile".         

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1. L’ottica 

Come ci dobbiamo mettere di fronte al tema che ci siamo proposto? Il modo di porsi di fronte ad un problema ne condizione lo sguardo e la ricerca. Pensate, per esempio, a come giudichiamo un amico e a come valutiamo un nemico. 

Agostino nelle Confessioni si pone davanti a Dio (perché Lui nel libro è il suo interlocutore: a Dio intende render lode, questa è la sua “confessio”) come uno che già Lo ha accolto, anzi come uno che già si è lasciato prendere da Lui, e che gli si rivolge percorrendo la tappe fondamentali della sua vita, perché in essa sono scritte le infedeltà di Agostino e la storia misericordiosa di Dio. 

Una lettura che non dà come scontato nessun passo compiuto e per questo molti non credenti hanno sentito Agostino come fosse uncompagno di viaggio. 

Agostino come un alpinista che è giunto in cima a un monte (scrive da credente), rivede l’itinerario della sua vita, le cadute e le fatiche affrontate, i burroni evitati, le incertezze incontrate, e in tutto questo cammino la mano di Dio che l’ha soccorso. 

Qualcuno potrebbe pensare che la via migliore per una ricerca di Dio sia quella di chi ancora non sa nulla di Lui, non ha ancora percorso la strada verso il suo incontro. 

In realtà ce ne può parlare meglio chi ha già fatto questo cammino rispetto a chi ancora non lo conosce. 

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2. Il nucleo di tutto il suo discorso 

Molto complesso e vario fu il cammino di Agostino, e tuttavia viene da lui letto costantemente alla luce di un nucleo che egli annuncia già nelle prime righe delle Confessioni: ogni uomo è perennemente in cammino, non però semplicemente con la sua intelligenza, ma con tutto se stesso, con il suo “cuore”.

La molla che lo muove gli viene dal di dentro, è “inquieto”, e il suo baricentro è Dio, ha dunque un obiettivo preciso. Un baricentro che stimola il nostro cammino, che spinge l’uomo a lodarlo, a provare la gioia di lodarlo. 

“Tu excitas ut laudare te delectet, quia fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te” (Confessioni 1,1.1). ("Tu stimoli (l’uomo) perché gioisca nel lodarti, poiché tu ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto, non ha sosta, finché non riposa in te"). 

Un rapporto costitutivo, quello dell’uomo con Dio, che Agostino sottolinea fin da una delle sue prime opere: conoscere Dio, conoscere l’uomo: “Deum et animam scire cupio. –Nihil plus?- Nihil omnino” Soliloquia 1,2.7.), fino a sfociare come in una invocazione: che io conosca me, che io conosca te: “Noverim me, noverim te” Soliloquia 2,1.1.). 

Non si tratta però solo di un suo personale interesse, perché la questione dell’anima e di Dio costituisce il centro della filosofia: “Cuius philosophiae dupelx quaestio est: una de anima, altera de Deo” in De Ordine 2,18.47). 

Un cammino quello verso Dio che ha diverse denominazione: ricerca e cammino verso la verità, verso il bello, verso il bene, verso la felicità, verso l’amore. Un cammino che, proprio perché deve percorrere dei sentieri, per questo può interrompersi (“Sentieri interrotti”), lasciandosi incantare lungo la strada, oppure si lascia bloccare dagli ostacoli che incontra, o ancora non accetta di sottostare e quindi non accetta se stesso.  

Scrive Agostino nelle Confessioni, descrivendo la sua “inquietudine” di adolescente, di giovane: “Giunto a Cartagine e dovunque intorno a me rombava (Circumstrepebat) la voragine degli amore peccaminosi. Non amavo ancora, ma amavo di amare e con più profonda miseria mi odiavo perché non ero abbastanza misero. Amoroso d’amore, cercavo un oggetto d’amare e odiavo la sicurezza, la strada esente da tranelli.Avevo dentro di me un insensibile al cibo interiore, a te stesso, Dio mio, e quell’appetito non mi affamava, bensì ero senza desiderio di cibi incorruttibili, né già per esserne pieno; anzi tanto più ne ero digiuno, tanto più ne ero nauseato…Amare ed essere amato mi riusciva più dolce se anche del corpo della persona amata potevo godere” (Confessioni 3,1.1.).  

Un giorno scoprirà che l’oggetto primo del suo amore era Dio, per cui esclama: sono certo di amarti, Signore (“Non dubia, sed certa conscientia, Domine, amo te” Conf. 10,6.8.). 

Ciò non è disgiunto dalla ricerca della felicità, anzi coincide: Come dunque ti cerco, Signore? Allorché io ti cerco, mio Dio, io cerco la vita beata (“Quomodo ergo te quaero, Domine? Cum enim te, Deum meum quaero, vitam beatam quaero” (Confessioni 10,20.29). 

L’amore dell’uomo non è però disgiunto dall’amore della verità, Esso si colloca sullo stesso sentiero, per cui esclama Agostino: o Verità o Verità, come già allora e nelle intime fibre del mio cuore sospiravo verso di te (“O veritas, o veritass, quam intime etiam tum medullae animi mei suspirabam tibi” De Civitate Dei 19,1.3.). 

Il desiderio della felicità, del bene, afferma Agostino, è la ragione del filosofare, il motivo dell’amore alla sapienza (“Nulla est homini causa philosophandi nisi ut beatus sit” De Civitate Dei 19,1.3.). 

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3. Tappe di un incontro e di un riconoscimento 

Considerato l’atteggiamento fondamentale di Agostino nel guardare il nostro problema: la ricerca di Dio, il cammino verso la fede, vi presento qui il prospetto della tappe fondamentali di Agostino nel suo cammino verso la fede cristiana come egli ce lo presenta nelle sue Confessioni:.

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3.1. La sua fanciullezza 

- La famiglia dalla quale viene 

- La scuola - La passione per il gioco - La sua vita religiosa 

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3.2. L'adolescenza 

- Passione per la libertà (furto delle pere) 

- Passione per l'amore 

- Passione per la bellezza 

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3.3. La presa di coscienza 

- La passione per la sapienza (lettura dell'Ortensio) 

- La difficoltà del male e l'adesione al Manicheismo 

- Il suo modo rozzo d'intendere Dio e lo spirito 

- Il fascino dello scetticismo 

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3.4. La messa in crisi 

- L'incontro con un ubriaco 

- La lettura dei Neoplatonici e la scoperta dello spirito 

- La lenta scoperta della sacra Scrittura alla scuola di sant’Ambrogio 

- La testimonianza di convertiti e di santi 

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3.5. Decisione e cambiamento 

- Il ritiro a Cassiciaco e i suoi primi scritti: la verità, la felicità. 

- Un cammino: dall'ascolto dell'uomo all'ascolto di Dio per comprendere chi è Dio 

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4. Dalla descrizione delle tappe di un cammino alla loro lettura sintetica 

Viste le tappe fondamentali della vita di Agostino, cerchiamo ora di approfondirne il pensiero circa l'itinerario dell'uomo verso Dio. Un pensiero che s'intreccia profondamente con la sua vita e con essa si è anche evoluto, pur sempre in una profonda coerenza. 

La sua vita e il suo pensiero sono stati segnati dalla sua esperienza. Esperienza di vita, di incontri, di amicizie, di letture, di conversione, di impegni (da studente a professore, a convertito, a sacerdote, a vescovo) che si sono variamente intrecciati nella sua esistenza. 

Nei riguardi di Dio potremmo dire che il suo cammino fa caratterizzato da un primo tempo in cui prevalse la ricerca partendo dagli interrogativi sollevati dalla vita e dalle riflessioni degli uomini, ad un secondo tempo in cui dominò la ricerca attraverso l'ascolto della Parola di Dio, passando così dal guardare a Dio e alla Chiesa come dal di fuori, al guardarli dal di dentro della fede e della comunità cristiana. Nel primo caso fu più vivo il confronto con le dottrine fuori della Chiesa, nel secondo caso il confronto con le diverse dottrine dei credenti, senza mai però trascurare il confronto con i pagani, come quando affrontò in una sua grande opera della maturità, "De Civitate Dei", le obiezioni fatta ai cristiani per la decadenza dell'impero romano. 

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5. Costante attenzione all’uomo nelle sue varie dimensioni ed esperienze. 

Una nota accompagna costantemente la vita e il pensiero di Agostino e appare in primo piano nei suoi scritti: la messa in gioco del soggetto e la presentazione del suo dinamismo radicale. 

La nota della messa in gioco del soggetto, perché egli si sente sempre coinvolto in quello che dice. Per questo fa spesso appello alla sua vita, al suo sentire, alla sua esperienza. Ciò risulta particolarmente evidente nel libro delle "Confessioni" nelle quali il dialogo non è su Dio e neppure semplicemente su di sé, ma sul suo rapporto vissuto con Dio e di questi con lui, e lega il racconto dei fatti della sua vita come il furto delle pere, la morte dell'amico, l'incontro con un ubriaco con la riflessione sull'uomo che questi fatti provocano in lui. 

(Anche per questo Agostino è un autore letto con interesse ancor oggi e dalle persone più disparate). 

La nota della presentazione non statica, ma dinamica della persona umana, perché Agostino guarda e definisce l'uomo non da fermo, ma in movimento, e perciò in proiezione verso precisi traguardi, quali la verità, la felicità, il bene, Dio stesso da cercare, lodare, ascoltare, invocare. 

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6. L'uomo soggetto e oggetto della domanda 

Per quale via l'uomo è chiamato a scoprire Dio, ad incontrarlo, partendo dall'uomo. 

Un consiglio, ereditato dai Neoplatonici, e sempre più interpretato in chiave cristiana, ricorre negli scritti di sant'Agostino: quella dell'interiorità. 

Riconoscendo il debito di riconoscenza che aveva per i neoplatonici Agostino scrive: "Ammonito da quegli scritti a tornare in me stesso, entrai nell'intimo del mio cuore sotto la tua guida; e lo potei perché divenisti il mio soccorritore" (Confessioni VII, 10.16.). 

Già nel "De Vera Religione" egli aveva esclamato: nell'interiorità dell'uomo abita la verità ("In interiore enim homine habitat veritas" in De Vera Religione 39,72). E per questo il santo dottore raccomanda: "Noli foras exire". 

Ma nell'interiorità l'uomo non trova semplicemente se stesso? 

Su questo problema cruciale nel pensiero filosofico e teologico di Agostino torna più volte nelle confessioni dove parla della sua esperienza.

Esortando a cercare la felicità in Dio, scrive Agostino: "In lui amate dunque, rapisci a lui con te quante altre anime puoi e dì loro: - Amiamolo, amiamolo: in lui è il creatore di queste cose e non ne è lontano, perché non le abbandonò dopo averle create, ma venute da lui, in lui sono. Dov'è? Dove si assapora la verità? E' nell'intimo del cuore, ma il cuore errò lontano da lui. Rientrate nel vostro cuore, prevaricatori, e unitevi a colui che vi ha creati. Restate con lui, e resterete saldi; riposate in lui e avrete riposo: Dove andate, alle tribolazioni? Dove andate? Il bene che amate deriva da lui, ma solo in quanto egli tende a lui che è buono e soave; sarà invece giustamente amaro, perché ingiustamente si ama, lasciando lui, ciò che deriva da lui. Quale vantaggio ricavate dal vostro lungo e continuo camminare per vie aspre e penose? Non vi è quiete dove voi la cercate. Cercate ciò che cercate, ma non è lì, dove voi cercate. Voi cercate una vita felice in un paese di morte; non è lì. Come potrebbe essere una vita felice, ove manca la vita?" (Confessioni IV,12,18).

Ma è nel libro decimo delle Confessioni dove Agostino si sofferma a lungo sull'itinerario della ricerca di Dio, passando dalla visione delle cose, all'uomo che nello stesso tempo è interrogante e interrogato, fino alla scoperta di Dio, quando ancora s'interroga: "Dove dunque ti trovai per conoscerti, se non in te, sopra di me?" ("Ubi ergo te inveni, ut discerem te, nisi in te supra me?" in Confessiones X,26,37).

In questo itinerario cinque sono le tappe fondamentali.

La prima è constatazione della propria condizione di "amante di Dio": "Non dubia, sed certa conscientia, Domine, amo te" (Ibid. X,6,8).

La seconda è l'interrogazione delle realtà che ci circondano per sapere se sono esse ciò che noi bramiamo amare, fino alla loro risposta: non siamo noi.

La terza è l'interrogazione dell'uomo su se stesso: "Io, Signore, certamente mi arrovello su questo fatto, ossia mi arrovello su me stesso. Sono divenuto per me un terreno aspro, che mi fa sudare abbondantemente. Non stiamo scrutando le regioni celesti, né misurando la distanza degli astri o cercando la ragione dell'equilibrio terrestre. Chi ricorda sono io, io lo spirito. Non è così strano che sia lungi da me tutto ciò che non sono io; non c'è nulla più vicino a me di me stesso? Ed che invece non posso comprendere la natura della mia memoria, mentre senza di quella non potrei nominare neppure me stesso" (Ibid. X,16,25).

La quarta è l'interrogazione della memoria: come posso ricordare Dio se non l'ho mai conosciuto? D'altra parte come posso cercarlo se in qualche modo non è in me, sopra di me, e non mi chiama?

"Ecco quanto ho spaziato nella mia memoria alla tua ricerca, Signore, ma fuori di questa non ti ho trovato…Dove ho trovato la verità, là ho trovato il mio Dio, la Verità persona; e non ho dimenticato la Verità dal giorno in cui la conobbi…Ma dove dimori nella mia memoria, Signore, dove vi dimori? Quale stanza ti sei fabbricato, quale santuario ti sei edificato? Hai concesso alla mia memoria l'onore di dimorarvi, ma in quale parte vi dimori? A ciò sto pensando. Cercandoti con il ricordo, ho superato le zone della mia memoria che possiedono anche le bestie, poiché non ti trovavo là, fra immagini di cose corporee. Passai alle zone ove ho depositato i sentimenti del mio spirito, ma neppure lì ti trovai. Entrai nella sede che il mio spirito stesso possiede nella mia memoria, perché lo spirito ricorda anche se medesimo, ma neppure là tu eri, poiché come non sei immagine corporea, né sentimento di spirito vivo…così non sei neppure lo spirito stesso, essendo il Signore e Dio dello spirito, e mutandosi tutte queste cose, mentre tu rimani immutabile al di sopra di tutte le cose" (Confessioni X,25,36).

Quinta tappa: il riconoscimento di Dio (dalla memoria ontologica alla memoria esplicitata).

"Supererò anche questa mia facoltà, cui si dà il nome di memoria, la supererò, per protendermi verso di te, dolce lume? Che mi dici? Ecco, io elevandomi per mezzo del mio spirito sino a te fisso sopra di me, supererò anche questa mia facoltà, cui si dà il nome di memoria, nell'anelito di coglierti e di aderire a te dove si può aderire a te" (Confessioni X,17,26).

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7. Le condizioni di questo cammino

Mentre Agostino descrive le tappe fondamentali di questo cammino, si sofferma anche su alcune condizioni perché si possa compiere.

E per questo egli si rifà per certi aspetti al modello antropologico platonico, letto però in chiave cristiana e ad una condizione morale necessaria per comprendere la verità.

Si tratta di un riferimento alle condizioni generali per la ricerca della verità che riguardano anche la conoscenza di Dio.

Ad una domanda previa si rifà Agostino, tenendo presente che non tutti gli uomini riconoscono Dio: perché sotto gli occhi di tutti stanno le cose, ma non a tutti esse parlano nello stesso modo?

In risposta egli descrive il cammino di ogni processo conoscitivo per individuare dove sta il punto che spiega il motivo per cui non tutti raccolgono la stessa risposta e quindi per spiegare le condizioni di un'adeguata conoscenza del reale, in particolare di Dio.

"Non appare a chiunque è dotato compiutamente di sensi questa bellezza? Perché dunque non parla a tutti nella stessa maniera? Gli animali piccoli e grandi la vedono, ma sono incapaci di fare domande, poiché in essi non è proposta ai messaggi dei sensi una ragione giudicante. Gli uomini però sono capaci di fare domande, per scorgere quanto in Dio è invisibile comprendendolo attraverso il creato. Sennonché il loro amore li asservisce alle cose create, e i servi non possono giudicare. Ora, queste cose rispondono soltanto a chi le interroga sapendo giudicare; non mutano la loro voce, ossia la loro bellezza,se uno vede soltanto, mentre l'altro vede e interroga, così da presentarsi all'uno e all'altro sotto aspetti diversi; ma, pur presentandosi a entrambi sotto il medesimo aspetto, essa per l'uno è muta, per l'altro parla; o meglio, parla a tutti, ma solo coloro che confrontano questa voce ricevuta dall'esterno, con la verità nel loro interno, la capiscono. Mi dice la verità: -Il tuo Dio non è la terra, né il cielo, né alcun altro corpo-; l'afferma la loro natura, lo si vede, essendo ogni massa minore nelle sue parti che nel tutto. Tu stessa sei certo più preziosa del tuo corpo, io te lo dico, anima mia, poiché ne vivifichi la massa, prestandogli quella vita che nessun corpo può fornire a un altro corpo. Ma il tuo Dio è anche per te la vita della tua vita" (Confessioni X,6,10).

La stessa domanda Agostino se la ripropone poco più avanti: perché Dio non si manifesta a tutti? La sua risposta sarà: a tutti parla il Signore, ma non tutti l'intendono perché non cercano la verità, ma ciò che a loro piace, mettendo in risalto il punto in cui le qualità morali del soggetto interferiscono nel processo conoscitivo.

In questo passo il santo dottore si rifà alle parole che Gesù rivolge a Nicodemo: chiunque fa il male odia la luce e non viene alla luce perché le sue opere non vengano smascherate (cf. Gv.3.20). 

"Tu, la Verità, siedi in alto sopra tutti coloro che ti consultano anche su cose diverse. Le tue risposte sono chiare, ma non tutti le odono chiaramente. Ognuno ti consulta su ciò che vuole, ma non sempre ode la risposta che vuole. Servo tuo più fedele è quello che non mira a udire da te ciò che vuole, ma a volere piuttosto ciò che da te ode" (Confessioni X,26,37).

Si nasconde nell'uomo come una contraddizione interna che divide il suo cuore tra l'aspirazione alle gioie più immediate e quella alle gioie più profonde. "Perché dunque - si domanda Agostino - (gli uomini) non se ne traggono godimento (dalla verità)? Perché non sono felici?", e si risponde: "Perché sono più intensamente occupati in altre cose" (Confessioni X,23,33).

Il nostro modo di vivere, dichiara ancora il santo dottore, forgia il nostro modo di conoscere, il nostro gusto, come può avvenire per i cibi. "Capii per esperienza che non è cosa sorprendente se al palato malsano riesce una pena il pane, che al sano è soave; se agli occhi offesi è odiosa la luce, che ai vividi è amabile. La tua giustizia (o Dio) è sgradita ai malvagi" (Ibid. VII,16,22). 

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8. Difficoltà incontrate nella ricerca di Dio

Oltre alle condizioni sopra ricordate della "libertà" del soggetto indagante, del suo "buon gusto", della sua disponibilità a lasciarsi coinvolgere dalla verità, Agostino ricorda alcuni preconcetti che gli impedivano l'accesso alla verità nella sua ricerca di Dio.

Primo preconcetto: una visione falsa e puerile della religione.

"Fin dal diciannovesimo anno della mia vita, dopo aver letto nella scuola del retore il libro di Cicerone denominato Ortensio fui preso da tanto amore per la filosofia che subito decisi di dedicarmi ad essa. Ma non mancarono nebbie per cui il mio navigare fu senza meta e a lungo, lo confesso, ebbi fisso lo sguardo su stelle che tramontavano nell'oceano e che m'inducevano nell'errore. Difatti una falsa e puerile interpretazione della religione mi distoglieva dall'immagine" (De Beata Vita, 1,4).

Secondo preconcetto: la visione materiale di ogni realtà e di Dio stesso e del male.

La concezione materialista di tutta la realtà viene giudicata da Agostino motivo quasi unico della sua devianza dalla verità e anche la difficoltà sollevata dalla presenza del male nella vita, che determinò in lui l'adesione al Manicheismo, era legata alla sua visione materialista delle cose.

"L'incapacità di pensare, volendo pensare il mio Dio, a cosa diversa da una massa corporea, poiché mi pareva che nulla esistesse senza un corpo, era la suprema e quasi unica ragione del mio inevitabile errore" (Confessioni V,10,19).

Legata a questa visione delle cose si presentava la questione della presenza del male nel mondo.

Continua Agostino il discorso sopra citato: "Di conseguenza credono che anche il male fosse una qualche sostanza simile e fosse dotato di una massa oscura e informe, e qui densa, ed è ciò che chiamavano terra, là tenue e sottile, secondo la natura dell'aria, che immaginano come uno spirito maligno, strisciante su quella terra. E poiché la mia religiosità, qualunque fosse, mi costringeva a riconoscere che un dio buono non poteva aver creato nessuna natura cattiva, stabilivo due masse opposte tra loro, entrambe infinite, ma in misura più limitata, la cattiva, più ampia, la buona. Da questo principio letale derivano tutte le altre mie eresie" (Ibid. V,10,20).

Facendo l'autocritica del suo modo di pensare in quei giorni, il nostro autore rileva anzitutto il suo modo errato di procedere: "Cercavo l'origine del male cercando male e non vedendo il male nella mia stessa ricerca" (Ibid. VII,5,7).

Terzo preconcetto: ritenere che il sapere umano seguisse un'unica via e modalità.

Come accade spesso anche nel nostro tempo, Agostino per un certo tempo aveva pensato che la conoscenza di ogni oggetto procedesse nello stesso modo e presentasse lo stesso tipo di chiarezza.

Ecco una sua annotazione in proposito: "Che pretesa la mia di raggiungere su cose che non vedevo la stessa certezza con cui ero certo che sette più tre fa dieci! Non così pazzo da ritenere che nemmeno quest'ultima verità si può comprendere, volevo però comprendere allo stesso modo anche le altre verità, sia le corporee non sottoposte ai miei sensi, sia le spirituali, per me pensabili esclusivamente sotto una forma corporea" (Ibid. VI,4,6).

Quarto preconcetto: ritenere che si possa vivere senza atti di fede.

Sul tema della fede intesa come atto di fiducia negli altri, come via conoscitiva di molte cose, è tornato più volte Agostino per mostrare che la fede cristiana, pur nella sua specificità, riflette una condizione comune tra gli uomini per esempio negli scritti: "De Vera Religione", "De Utilitate Credendi", "De Fide Rerum Quae non Videntur", "De Gratia et Libero Arbitrio", "De Doctrina Christiana". 

Egli ne parla anche nelle Confessioni quando scrive: "Il manicheismo prometteva temerariamente una scienza, tanto da irridere la fede" (Ibid. VI,5,7). Salvo poi a contraddirsi imponendo altre forme risibili di fede: "(Il manicheismo) poi imponeva di credere a un gran numero di fole del tutto assurde, dal momento che erano indimostrabili" (Ibid.VI,5,7).

La fede è vista da sant' Agostino non in alternativa o in contrapposizione con il sapere della ragione, ma piuttosto come un suo aiuto e in molti casi come sua condizione.

Egli scrive: "Essendo dunque gli uomini troppo deboli per trovare la verità con la sola ragione, e avendo perciò bisogno dell'autorità dei testi sacri, io avevo incominciato a credere ormai ch non avresti attribuito un'autorità così eminente presso tutti i popoli della terra a quella Scrittura, se non avessi desiderato che l'uomo per suo mezzo credesse in te e per suo mezzo ti cercasse" (Ibid. VI,5,8). 

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9. Dio bellezza tanto antica e tanto nuova

La conoscenza di Dio presenta diverse profondità per cui resta inesauribile per l'uomo nel tempo la ricerca del volto di Dio. E' costantemente presente in Agostino il senso del mistero di Dio, la sua profondità.

Un costante dilemma è stato sollevato nella storia: se noi riteniamo di poter comprendere Dio, allora Egli non è più Dio perché ridotto alle nostre misure. Se invece in nessun modo possiamo conoscere Dio, in questo caso non possiamo dir nulla di Lui, neppure che esiste.

Come Agostino affronta questo dilemma come ammettere contemporaneamente la possibilità di conoscere Dio e la perdurante sua misteriosità?

Il Vescovo d' Ippona così scrive nel suo trattato sulla Trinità: "Cercate sempre il suo volto? Sarà forse che, anche una volta che lo si è trovato, bisogna cercarlo ancora? E' così infatti che bisogna cercare le cose incomprensibili perché non ritenga di non aver trovato nulla colui che abbia potuto trovare quanto è incomprensibile ciò che cercava. Perché allora cerca, se comprende che è incomprensibile ciò che cerca, se non perché non deve desistere, fino a quando progredisce nella ricerca dell'incomprensibile e diventa sempre migliore cercando un bene così grande, che si cerca per trovarlo e lo si trova per cercarlo?" Infatti lo si cerca per trovarlo con maggior dolcezza, e lo si trova per cercarlo con maggiore ardore…La fede cerca, l'intelligenza trova" (De Trinitate, XV,2.2.).

Nel "De Libero Arbitrio" aveva scritto: "Sed nos quod credimus, nosse et intelligere cupimus" (De Libero Arbitrio, II,4.5.).

E' sempre vivo negli scritti del nostro autore il senso del mistero di Dio e di conseguenza l'umiltà con la quale dobbiamo accostarci a Lui.

All'inizio delle Confessioni, dialogo di lode, di ringraziamento, di riconoscenza verso Dio, così Agostino guarda a Dio:

"Cosa sei dunque, Dio mio? Cos'altro, di grazia,, se non il Signore Dio? Chi è invece signore all'infuori del Signore, chi è Dio all'infuori del nostro Dio? O sommo, ottimo, potentissimo, onnipotente, bellissimo e fortissimo, stabile e inafferrabile, immutabile che tutto muti, mai nuovo, mai decrepito, rinnovatore di ogni cosa, che a loro insaputa porti i superbi alla decrepitezza; sempre attivo, sempre quieto, che raccogli senza bisogno; che porti, riempi e serbi, che crei e nutri e maturi, che cerchi mentre nulla ti manca. Ami ma senza smaniare, sei geloso e tranquillo, ti penti ma senza soffrire, ti adiri e sei calmo, muti le opere ma non il disegno, ricuperi quanto trovi e mai perdesti; mai indigente, godi dei guadagni; mai avaro esigi gli interessi; ti si presta per averti debitore, ma chi ha qualcosa, che non sia tua? Paghi i debiti senza dovere a nessuno, li condoni senza perdere nulla. Che ho mai detto, Dio mio, vita mia, dolcezza mia santa? Che dice mai chi parla di te? Eppure sventurati coloro che tacciono di te, poiché sono muti ciarlieri" (Confessioni X,4.4.)

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10. Comprensione e comunicazione del mistero di Dio

La visione che ha di Dio e del suo approccio Agostino la esprime non solo in forma diretta, ma anche in maniera indiretta quando parla della comunicazione del nostro sapere su Dio.

Due suoi scritti mi sono parsi particolarmente significativi al riguardo: il "De Magistro", un dialogo con il figlio Adeodato in cui egli parla delle condizioni e possibilità dell'insegnamento in generale, e il "De Catechizzandis Rudibus", una lunga risposta al diacono Deogratias che gli aveva chiesto dei consigli sul modo di proporre la dottrina cristiana.

Nella prima opera Agostino sottolinea il momento attivo di chi ascolta per imparare.

"Chi è - egli scrive - che si lascia prendere dalla sciocca curiosità di mandar suo figlio a scuola perché apprenda quello che pensa il maestro? Ma quando i maestri avranno espresso a parole tutti gli insegnamenti che professano d'impartire, allora quelli che si chiamano discepoli riflettono tra sé e sé se sia stato detto il vero, contemplando la verità interiore secondo le loro forze. Allora dunque imparano" (De Magistro, cap.14 n.45). 

Alle parole di Agostino risponde il figlio Adeodato: "Io, dall'ammonimento delle tue parole ho appreso che dalle parole l'uomo è soltanto ammonito perché impari, e che è ben poco che attraverso il parlare appaia una parte del pensiero di chi parla. Se poi sia detto il vero, l'insegna solamente Colui che ci avverte di abitare dentro di noi pur parlando di fuori" (Ibid. n.46).

Commenta Crosson: "Ci sono due differenti modi per rispondere al desiderio di qualcuno di sapere, due modi diversi di insegnare, e Agostino ritiene che uno solo di questi è insegnare nel vero senso del termine: mi insegna soltanto chi mi presenta davanti agli occhi o a un altro organo di senso, o alla mente stessa, ciò che io voglio conoscere. Insegnare è fare in modo che qualcosa si mostri a chi desidera conoscerla. Esiste anche un altro senso di insegnare, con il quale il maestro non esibisce né rende manifesto ciò che deve essere conosciuto, ma usa segni per riferire al discente dove e come guardare per vederlo" (F. J. Crosson "Mostrare e dire: il concetto dell'insegnamento nel -De Magistro - di S.Agostino" in AA.VV. "De Magistro di Agostino d'Ippona" ed. Augustinus, Città Nuova, Palermo 1993 p.50).

In questo contesto l'eventuale maestro non porta Dio all'uomo, ma il suo interlocutore sulle soglie, per così dire, di Dio.

Nella seconda opera Agostino, rispondendo al diacono Deogratias, sottolinea la distanza che vi è tra le nostre parole e l'intuizione che possiamo aver avuto del mistero cristiano, e di conseguenza come l'altro per comprendere debba fare a sua volta quella esperienza che viene detta:

"Spesso ti è parso di fare un discorso trascurato e fastidioso. Anche a me quasi sempre i discorsi che faccio non piacciono dal momento che è mio ardente desiderio farne altri migliori; e molte volte li gusto interiormente prima di cominciare a svilupparli con il suono delle parole; se poi mi riescono inferiori rispetto a quelli che avevo dentro di me, mi rattristo perché la lingua non è in grado di corrispondere al mio sentire profondo" (De Cathechizzandis Rudibus, 2.3).

Tornano qui le riflessione che il nostro autore aveva fatto nel "De Magistro" a proposito dell'insegnamento, del ruolo delle parole e dei segni, dell'itinerario della "comprensione" da parte dell'uomo della differenza tra ciò che vede la mente e quello che può comunicare la parola.

Continua la risposta di Agostino: "Vorrei infatti che chi mi ascolta vedesse con la mente ciò che io vedo; invece mi accorgo di non esprimermi in modo da riuscire nell'intento, soprattutto perché la visione pervade l' animo, per così dire, con la rapidità di un baleno, mentre l'espressione è tarda, prolissa e molto diversa; mentre questa si sviluppa, quella già si è ritirata nei suoi recessi" ( Ibid. 2.3.).

Agostino distingue al riguardo l'intuizione soggettiva, la sua memoria interiore, la mediazione naturale che si esprime negli atteggiamenti per esempio del volto, come il rossore, e la mediazione "artificiale" del linguaggio. Più ci si allontana dal momento originario, osserva Agostino, e più s'impoverisce la sua trasmissione. Di conseguenza: "non è possibile con il suono prodotto dalla voce esprimere e, per così dire, porgere alla percezione di chi ascolta quelle tracce impresse nella memoria della visione intellettuale…Per la qual cosa possiamo opinare quale sia il divario tra il suono della voce e l'impronta della visione intellettuale, dal momento che non è simile neppure all'impressione lasciata dalla memoria" (Ibid.2.3.).

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11. L'invocazione

Nella sua ricerca di Dio, del suo volto, Agostino, come in un quadro a più colori, mette insieme desideri e smarrimenti, attese e delusioni, ripiegamenti su di sé e aspirazioni ad orizzonti più vasti, sottolineando i suoi profondi legami con Dio e la sua distanza da Lui.

Il nostro autore mai disgiunge le sue riflessioni sull'uomo senza guardare al suo riferimento a Dio, come non parla mai di Dio senza confrontarlo con l'uomo.

Mi chiedo: si trova in Agostino un momento che riassume in sé tutte queste note in cui riconosce l'uomo e Dio, la loro vicinanza e la loro distanza, il peccato che allontana e la misericordia che riunisce e rinnova?

Mi pare di poter affermare che il momento più sintetico di questo rapporto sia costituito dalla "invocazione" nella quale si esprime chi è l'uomo e chi è Dio, eco di quell'aspirazione espressa dal santo nei primi passi: "Che io conosca me, che io conosca Te".

Ne troviamo una espressione significativa nel libro undicesimo delle Confessioni, quando, rivolto a Dio, esclama: "Da molto mi arde il desiderio di meditare la tua legge, di confessarti la mia conoscenza e la mia ignoranza in proposito, le prime luci della tua illuminazione e i residui delle mie tenebre, fino a quando la mia debolezza sia inghiottita dalla tua forza" (Confessioni XI,2.2.).

E poi Agostino così si rivolge a Dio:

"Signore Dio mio, presta ascolto alla mia preghiera; la tua misericordia esaudisca il mio desiderio, che non arde per me solo, ma vuole anche servire alla mia carità per i fratelli. Tu vedi nel mio cuore che è così. Lascia che ti offra in sacrificio il servizio del mio pensiero e della mia parola…(e qui Agostino sottolinea la dominanza dell'ascolto della Scrittura nel secondo stadio della sua vita, senza mai scordare le istanze filosofiche). Siano le tue Scritture le mie caste delizie: ch'io non mi inganni su di esse, né inganni gli altri con esse. Signore, guarda ed abbi pietà, Signore, Dio mio, luce dei ciechi e virtù dei deboli, e tosto luce dei veggenti e virtù dei forti; volgi la tua attenzione sulla mia anima e ascolta chi grida dall'abisso…Signore compi in me la tua opera e rivelami il senso delle tue Scritture. Ecco la tua voce è la mia gioia, la tua voce è una voluttà superiore a tutte le altre. Dammi ciò che amo, poiché io amo. Tu mi hai dato di amare. Non abbandonare i tuoi doni, non trascurare questo filo d'erba assetato" (Confessioni XI,2.3.).

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Dov’è il tuo Dio?

Luci ed ombre nel nostro cammino verso Dio

“Anch’io mi domando:

Dio mio dove sei?

Ecco dove sei!

Respiro in Te un poco

Quando effondo su di me la mia anima

In un grido di esultanza e di lode,

concento di una celebrazione festiva.

Ma poi ancora diventa triste,

perché ricade e torna abisso;

o meglio sente ancora di essere abisso.

La mia fede,

da te accesa nella notte davanti ai miei passi,

le dice: perché sei triste, o anima,

perché mi turbi?

Spera nel Signore.

La sua Parola è lucerna che rischiara i tuoi passi.

Spera e persevera

finché sia passata la notte,

madre degli empi,

finché sia passata la collera del Signore.

Collera di cui fummo figli anche noi,

un tempo tenebre…

Spera nel Signore.

Fin dal mattino sarò in piedi a contemplare.

Sempre lo confesserò.

Fin dal mattino sarò in piedi a vedere

La salvezza del mio volto,

il mio Dio,

che vivificherà anche i nostri corpi mortali

grazie allo spirito che abita in noi.

Da lui abbiamo ricevuto in questo pellegrinaggio

il pegno di essere presto luce.

Ormai siamo salvi nella speranza,

siamo figli della luce

e figli del giorno,

non figli della notte e delle tenebre,

come fummo un tempo”

(Confessioni 13,14.15)

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Il testo originale

“Et ego dico:

Deus meus ubi es?

Ecce ubi es.

Respiro in te paululum,

cum effondo super me animam meam

in voce exultationis et confessionis 

soni festivitatem celebrantis.

Sed adhuc tristis est,

quia relabitur et fit abyssus,

Vel potius sentit adhuc se esse abyssum.

Dicit ei fides mea,

quam accendisti in nocte ante pedes meos :

quare tristis es, anima,

et quare conturbas me?

Spera in Domino ;

lucerna pedibus tuis verbum eius.

Spera et persevera,

donec transeat nox,

mater iniquorum,

donec transeat ira Domini,

cuius filii et nos fuimus aliquando tenebrae…

Spera in Domino :

mane astabo et contemplabor ;

semper confitebor illi.

Mane astabo

et videbo salutare vultus mei, Deum meum,

Qui vivificabit et mortalia corpora nostra

propter spiritum,

qui habitat in nobis…

Unde in hac peregrinatione pignus accepimus.

ut iam simus lux,

dum adhuc spe salvi facti sumus

et filii lucis et filii diei,

non filii noctis neque tenebrarum ,

quod tamen fuimus»

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(Confessiones 13,14.15.)